
I vitigni e i vini
Il vigneto pugliese occupa 86.711 ettari e si distribuisce soprattutto in pianura (70%) e in collina (29,5%).
Recentemente la produzione di vino mostra un leggero, progressivo calo e nel 2013 è stata di circa 4.965.000 ettolitri di vino – DOP per il 4,9% e IGP per il 22,4% – , 2/3 dei quali Rossi e rosati ottenuti soprattutto da Negroamaro, primitivo e uva di Troia. Tuttavia, nell’ultimo decennio i vini bianchi hanno guadagnato terreno, in particolare quelli prodotti da Verdeca, Bombino Bianco, bianco d’Alessano, Malvasia bianca, Fiano, Minutolo e Chardonnay.
Negli ultimi anni si stanno diffondendo i sistemi di allevamento a spalliera, anche se nel Salento e in piccole aree del barese resiste l’alberello e nella zona centro settentrionale il tendone.
Il Negroamaro, forse portato in Puglia dagli antichi greci, è il vitigno a bacca nera che domina le vigne pugliesi, soprattutto nelle province di Brindisi e Lecce. Il nome deriverebbe dal latino niger e dal greco mavros, con un unico significato, il colore nero della buccia dell’uva e del vino che ne deriva, oppure, più verosimilmente, da niuru maru, che in dialetto indica il colore nero degli acidi e il finale amarognolo del vino.
Le uve maturano tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, ed hanno vini rossi dei colori intensi, con profumi di rosa, amarena, prugna, liquirizia e tabacco, a volte accompagnati da toni speziati e balsamici. Morbidi ma austeri, sono sostenuti da un tannino di bella eleganza, che dona un piacevole finale appena amarognolo. II rosati sono molto apprezzati per le stupende tonalità rosa corallo e per i fini sentori di rosa e oleandro, melagrana e frutti a bacca rossa, rabarbaro e macchia mediterranea, oltre che per il corpo e l’equilibrio.
Forse originario dell’Ungheria è documentato di recente sulla costa dalmata e nel Montenegro, il Primitivo fu portato probabilmente in Puglia dai profughi slavi tra il XV e il XVI secolo. Alla fine del 700 è stato selezionato e coltivato in monocultura a Gioia del Colle e così denominato per la precocità della maturazione delle uve, che avviene tra la fine di agosto e le prime settimane di settembre. La vite del Primitivo è particolare perché, un mese dopo la vendemmia dei grappoli principali, consente una seconda raccolta di grappoli detti racemi, pari al 20-30% della produzione.
Maturano su tralci secondari, chiamati femminelle o vreccole. All’inizio degli anni 90 la scoperta della strettissima parentela con lo zinfandel accesi i riflettori sul primitivo e portò a una vera e propria riscoperta, che determinò una successiva riduzione della produzione di vini da taglio e da vendere sfusi a vantaggio di vini sempre più interessanti. Coltivato soprattutto nel tarantino e nel Varese, dove acquisisce finezza, equilibrio e ottima struttura, cresce bene anche nelle province di Brindisi e Lecce, più famose per il negroamaro. I vini ottenuti da primitivo si presentano con un profondo colore purpureo, che nel tempo può sfumare in tutte le tonalità fino all’aranciato; il profilo olfattivo è dominato da spiccati sentori di ciliegia e prugna, amarena e mora, con ricordi di frutta secca e sottospirito e note speziate, tostate e balsamiche dopo evoluzione, quando i tannini, mai invadenti, diventano ancora più vellutati. Il vino che si ricava dai racemi – rosso o rosato – è invece di pronta beva, più rustico e fresco, ma dotato di minore struttura e componente alcolica.
Il Montepulciano fu introdotto in Abruzzo all’inizio dell’ottocento, per approdare nel secolo successivo in provincia di Foggia e poi nelle altre zone. Utilizzato tradizionalmente per stemperare l’irruenza tannica dell’Uva di Troia e del Negramaro, e talvolta impiegato in purezza specialmente nell’area centro settentrionale della Puglia, dove dà vini di colore molto intenso, con profumi di amarene e ciliegie, anche in confettura, seguiti da cenni di cuoio e spezie dolci.
Un altro vitigno a bacca nera sul quale oggi si punta molto è l’Uva di Troia conosciuta anche come Nero di Troia – chiamata inizialmente uva di Canosa – così denominata dal 1875, probabilmente per richiamare la leggenda di Diomede, eroe della guerra di Troia e fondatore di molte città dell’Apulia, che avrebbe portato con sé le marze del vitigno della terra di origine. Ma gli studiosi non escludono che questa varietà discenda da un’antica uva locale o abbia un’origine balcanica.
A maturazione tardiva, l’Uva di Troia era un tempo destinata alla produzione di vini da taglio, mentre nell’ultimo decennio i miglioramenti in vigna e in cantina permettono di verificarla in purezza o in studiati assemblaggi per ottenere vini piacevoli e originali, con profumi intensi di viola e mirtillo, mora di rovo e di gelso, che negli anni si arricchiscono di note di confettura di ciliegia, tabacco e spezie. Delicatamente freschi e con importanti note alcoliche e tannicità, questi vini spesso sono affinati con passaggio in barrique.


La Malvasia Nera conosciuta nelle varietà di Lecce e di Brindisi, è delicatamente aromatica, entra in molti blend con il negroamaro, ma anche vinificata in purezza e offre vini di pronta beva e deliziosamente profumati di melagrana e lampone.
Nell’area di Castel del Monte si coltiva il Bombino Nero, particolarmente adatta alla produzione di vini rosati fragranti, freschi e sapidi. Il rosato da Bombino Nero di Castel Del Monte è l’unico rosato DOCG d’Italia. A Castel del Monte e nei territori marginali si produce l’Aglianico, che dà vini interessanti e più simili a quelli delle Vulture piuttosto che a quelli campani.
Merlot, Cabernet sauvignon, syrah, pinot nero, cabernet franc e malbech hanno una discreta diffusione e sono per lo più utilizzati in tagli come vitigni migliorativi.
Il recupero di varietà autoctone, l’inserimento di vitigni internazionali e il perfezionamento delle tecniche in vigna e in cantina hanno portato una crescita qualitativa di vini bianchi pugliesi.
Molto diffuso in tutte le province pugliesi ma di limitato rilievo qualitativo è il Trebbiano toscano .
Diversi cloni di Malvasia Bianca, come la Malvasia Bianca di Candia, la Malvasia Bianca lunga e alcuni antichi biotipi locali, danno vini secchi e dolci delicatamente aromatici e di buona struttura, a volte sottoposti a un breve periodo di maturazione in Barrique.
La Verdeca, coltivata da secoli in valle d’Itria, nel Salento, nel tarantino e nel barese, offre vini semplici, freschi e con caratteristici riflessi verdolini , come si può intuire dal nome.
Il Bombino Bianco detto anche buonvino per la produzione abbondante, è diffuso particolarmente nel foggiano e nella parte centro settentrionale della regione. Tradizionalmente utilizzato in uvaggi blend, oggi è sempre più spesso vinificato in purezza e, grazie alle spiccate doti di freschezza e sapidità, si esprime con piacevole finezza, soprattutto se è spumantizzato con il metodo classico.
Il Pampanuto dona struttura e profumi fruttati e vini bianchi della zona di Castel del Monte, ottenuti di solito assemblando diverse qualità.
La presenza del bianco d’Alessano nella Valle d’Itria è documentata già a partire dal 1870. Vinificato quasi esclusivamente in uvaggio, spesso con Verdeca e Minutolo, offre profumi fruttati, ottima struttura e sorprendente capacità di evoluzione.
Di origine campana ma coltivati in Puglia da secoli, il Fiano e il Greco si stanno diffondendo con risultati lusinghieri in alcuni vini IGP, i quali offrono profumi fini, struttura e ottima freschezza, che li rendono adatti anche alla spumantizzazione con il metodo Martinotti.
Il Minutolo o Moscatellina è interessante per la finezza e la varietà dei profumi e per la ricca struttura, si è diffuso con successo in diverse zone della provincia di Bari, di Taranto e a sud del Gargano. Attestato già nella seconda metà dell’ottocento a Bitonto come Minutolo, è stato recentemente riscoperto nella Valle d’Itria È inizialmente chiamato Fiano aromatico per le particolari note di litchi , bergamotto, pescanoce, camomilla, biancospino e altri fiori bianchi su sfondo delicatamente muschiato, oppure Fiano Minutolo per gli acini piccoli e i grappoli spargoli. Recente analisi genetiche hanno dimostrato che non ha nulla a che fare con il Fiano vero e proprio, risultando più vicino al Moscatello selvatico e per questo rinominato Minutolo o Moscatellina.
Un’altra qualità di origine campana è la Falanghina, che si coltiva su piccola scala in alcune zone del Sub Appennino Dauno, Castel del Monte e della Murgia barese dove, in purezza o in uvaggi, dà vini freschi e delicati. Il nome curioso deriva dall’esigenza della vite dato il portamento espanso, di essere sorretta da pali detti falanghe.
Vini di buona fattura si ottengono anche dallo chardonnay, Sauvignon, Pinot bianco e Viognier, sia un purezza che in uvaggi assemblati.


Rosati di Puglia
Il clima caldo per gran parte dell’anno e la presenza di una cucina di terra e di mare ricca di piatti gustosissimi ma non troppo strutturati, favoriscono in Puglia la richiesta e l’apprezzamento di vini rosati. Furono probabilmente i coloni greci a insegnare ai contadini salentini come ottenere questi vini con il sistema a lacrima, sottoponendo a una delicata pigiatura le uve nere raccolte in sacchi, in modo da farle lacrimare e da raccogliere il mosto fiore, senza tenerlo ulteriormente a contatto con le bucce.
Intorno alla metà dell’ottocento, alcune aziende di Ruvo, nell’area di Castel del Monte, iniziarono a produrre questi vini su scala industriale e a esportarli, utilizzando l’Uva di Troia e il Bombino Nero. Il primo storico imbottigliamento di vino rosato in Italia avvenne però a Salice Salentino nel 1943 da Negroamaro e Malvasia Nera.
Attualmente si producono vini rosati estremamente diversificati in tutte le province pugliesi, che sorprendono per la bellezza di colori, che sfumano tra tonalità cerasuolo e corallo, A volte più intense e violacee o con nuance salmone, per la fragranza e la finezza dei profumi di fragoline di bosco e melagrana, lampone e ciliegia, rosa e oleandro, peonia, macchia mediterranea e rabarbaro, per il gusto pieno, equilibrato e capace di coniugare freschezza e sapidità con un’adeguata dotazione alcolica. Raramente i vini rosati pugliesi riposano in legno, con qualche interessante eccezione a base di negramaro o di primitivo, che esprime particolare complessità e notevole struttura.
Il Negroamaro, a volte con un limitato apporto di Malvasia Nera di Brindisi e/o di Lecce, Sangiovese, Montepulciano, Susumaniello o Aglianico, può dare i risultati impareggiabili; alcuni vini delle denominazioni Alezio, brindisi, Leverano, Salice Salentino e Salento IGP sono dei veri e propri classici, i più ricchi di struttura e complessità. A tavola, questi vini possono essere abbinati con prosciutto e fichi e con parmigiana di melanzane, ma anche con cibi tradizionali come cozze gratinate e scamorza affumicata, capocollo e soppressata, legumi e cavatelli, al sugo di funghi cardoncelli.
Nella Murgia settentrionale, che fa capo a Castel del Monte, da Bombino Nero si ottengono vini rosati un po’ più snelli ma di esemplare eleganza, questo vitigno è molto adatto per la produzione di vini rosati, perché ha una buccia sottilissima e povera di sostanze coloranti è una polpa ricca di succo e poco reticolata, per cui la semplice sgrondatura delle uve pigiate consente di ottenere un mosto fiore delicatamente colorato. Inoltre, la presenza di alcuni acini verdi nei grappoli maturi, favorisce il mantenimento di un’elevata acidità, che si traduce in una piacevole freschezza. Il vino di maggiore prestigio è il Castel del Monte Bombino Nero DOCG , ottimo come aperitivo è in abbinamento con bruschette, panzerottini, pesce e crostacei e formaggi freschi e semi stagionati.
Interessanti, con caratteristiche diverse, sono i vini rosati ottenuti da Montepulciano e Uva di Troia nella zona del foggiano e nel barese settentrionale. Così come nel tarantino e nella Murgia barese sono in espansione le positive esperienze a base di Primitivo. Versatile per eccellenza, il rosato toglie spesso l’imbarazzo della scelta del vino più adatto per accompagnare l’intero pasto.


Le zone vitivinicole
In Puglia, si possono evidenziare alcune importanti zone vitivinicole come: la Capitanata, la Murgia centrale, la Valle d’Itria e il Salento, che comprende il tarantino, il basso e l’alto Salento.
Superato il confine molisano, si entra nella Capitanata, chiamata anticamente Daunia e corrispondente oggi alla provincia di Foggia con denominazioni consolidate come quella di San severo e quella del Tavoliere delle Puglie o Tavoliere, che mira alla valorizzazione dell’Uva di Troia, la varietà locale a bacca nera di maggior interesse.
Chiamata localmente Sumarello o Nero di Troia è un’uva adatta alla produzione di vini rossi e rosati e sempre più spesso vinificata in purezza, anche se non mancano blend con Montepulciano, Sangiovese e uve a bacca bianca, come avviene per il gustoso Cac’e Mmitte di Lucera DOC. Vitigno riscoperto alcuni anni fa e oggi coltivato in pochi ettari tra le colline intorno a Orsara di Puglia nel sub Appennino Dauno, il Tuccanese dà interessanti vini di nicchia, lavorati in purezza o in uvaggio con uva di Troia, strutturati e vellutati, con profumi di marasca, prugna, viola, iris e una leggera speziatura. Negli ultimi anni si stanno valorizzando Falanghina, Fiano, Greco e Bombino Bianco che, in particolare, dà sentori di mela golden, pesca bianca e delicate sfumature floreali; inoltre, delle gradevoli note di freschezza e di mineralità, caratteristiche ideali per la produzione di spumanti metodo classico.
Nella parte settentrionale della Murgia centrale, zona altamente vocata per la vitivinicoltura, si assiste recentemente a un significativo rilancio della qualità. I vini rossi più prestigiosi sono complessi, strutturati e longevi, e nascono da uva di Troia e da Aglianico in purezza oppure da blend tra almeno una di tali varietà con il Montepulciano nelle DOCG riserva del Castel del Monte Nero di Troia e Castel del Monte rosso, oltre che nel Castel del Monte aglianico DOC. Tutti i vini da provare, per esempio, con capretto al ginepro.
Sempre più apprezzato e anche l’ottimo Castel del Monte Bombino Nero DOCG, grazie al magnifico colore rosato, alla finezza dei profumi fruttati e alla grande freschezza e sapidità, un vino perfetto da aperitivo, con orata alle erbe aromatiche, con carni bianche.
Anche la produzione di vini bianchi mostra segnali di ripresa, grazie alla riscoperta di Bombino Bianco e Pampanuto e alla conferma di Chardonnay, Sauvignon e Pinot Bianco nella denominazione Castel del Monte. Dopo lunghi anni di crisi, si sta riscoprendo il dolce moscato di Trani DOC, ottenuto dal vitigno Moscato Reale, che offre ricordi di albicocca disidratata, scorza di cedro e arancia, pesca gialla e mimosa, caprifoglio e Zagara, su sfondo di muschio, salvia e rosmarino. Un vino da provare con dolcetti di pasta di mandorle.
Nella parte meridionale della Murgia centrale si estendono le colline calcaree delle dominazioni Gravina e Gioia del Colle e, per la parte che appartiene alla provincia di Bari, a Locorotondo e a Martina Franca, oltre che le IGP Murgia e Valle d’Itria, anche se quest’ultima si trova a cavallo delle province di Bari, Brindisi e Taranto. L’uva più prestigiosa è il Primitivo, che oggi si esprime con particolare eleganza, arricchendosi di vivide componenti fresche e sapide e dimostrano una sorprendente longevità, specie nei vini ottenuti da vecchi alberelli e nella riserva del Gioia del Colle DOC.
In questa zona si sta cercando di rilanciare i vini rosati elaborati da Primitivo in purezza o in blend con Aglianico, Aleatico o Montepulciano. Le favorevoli caratteristiche pedoclimatiche della Murgia barese e della pittoresca Valle d’Itria favoriscono la produzione di gradevoli vini bianchi, nella zona di Gravina da Malvasia Bianca lunga e Greco, nell’area di Gioia del Colle da Trebbiano Toscano, Chardonnay, Falanghina, Malvasia Bianca e Minutolo, in quella di Locorotondo da Verdeca, Bianco d’Alessano e Minutolo, assemblati o in purezza. Vini molto piacevoli per esempio, con la burrata o con deliziosi stuzzichini di mozzarella. Nella Murgia barese merita un assaggio anche i vini dolci elaborati a partire da Aleatico e Malvasia Bianca.


Nell’arco ionico tarantino, che corrispondente alla provincia di Taranto, tra le colline punteggiate di trulli disegnati da muretti in pietra carsica, dei vigneti della denominazione Martina Franca si elaborano vini bianchi fermi o spumanti metodo Martinotti, che puntano su Verdeca, bianco d’Alessano e Minutolo.
Nelle terre soleggiate dell’area del Golfo di Taranto si trovano le vigne dove il Primitivo offre espressioni di assoluto rilievo, grazie alla svolta determinata da alcuni produttori degli anni ’90, alcuni con vini di stile decisamente innovativo, altri tradizionali, altri ancora con caratteristiche intermedie tra queste due tendenze.
Il Primitivo di Manduria DOC eccelle per caratteri, specialmente se le uve provengono da vecchi alberelli impiantati in terreni calcarei argillosi e i vini riposano in botte o in barrique. Il profumo ricorda sentori di frutta anche in confettura e sottospirito, carruba, fico e mandorla secca, a volte tabacco e liquirizia, con qualche cenno erbaceo e minerali, balsamico e speziato, mentre il gusto è pieno e caldo, sostenuto da tannini levigati. E dopo evoluzione diventa austero ed elegante, da provare con carne locale e aromi del territorio.
Il primitivo di Manduria dolce naturale di DOCG stupisce per la struttura e opulenza, misurata dolcezza e vellutata avvolgenza ed è un ottimo vino da conservazione, perfetto anche con fichi secchi mandorlati ricoperti di cioccolato fondente.
Limitata ma di buon livello sono le produzioni locali di vini da Negramaro e Malvasia Nera, mentre per rilanciare i vini bianchi si sta puntando soprattutto su Minutolo, Fiano, Verdeca, Chardonnay e Marasco, che danno vini piacevoli e delicatamente profumati.
La denominazione colline Joniche Tarantine , con vigneti impiantati a spalliera situati tra i 190 e 300 mt, presenta un Primitivo con caratteri intermedi tra quelli delle zone gioiese e manduriana.
E si arriva nel Salento, una penisola pianeggiante detta Tavoliere di Lecce, che si solleva negli ultimi rilievi dell’altopiano murgiano e nelle terre Salentine. Il microclima è unico, con il caldo estivo mitigato dalle brezze marine che spirano da una costa all’altra, che creano un clima simile a quello collinare.
Nell’alto Salento, le terre brindisine sono particolarmente vocate per la coltivazione del Negramaro e danno vini rossi e rosati, a volte eccellenti, nelle denominazioni Brindisi e salice salentino e nelle IGP Salento e Puglia.
A partire dalla metà degli anni ’70 sono stati concepiti alcuni grandi vini rossi da Negramaro, ottenuti da uve di vecchi alberelli lasciate maturare sulla pianta o anche appassire su graticci, con successivo passaggio in barrique per domarne l’irruente vena tannica. Un importante ruolo complementare nella produzione di vini rossi e rosati è svolto dal Malvasia Nera di Brindisi, primitivo, Cabernet Sauvignon e Susumaniello.
In passato, quest’ultimo era utilizzato nel brindisino a scopo tintorio e per la produzione di filtrati dolci. Molto produttivo in gioventù diventa avaro di grappoli dopo i 10 15 anni, consentendo la produzione di vini rossi concentrati e con piacevoli profumi fruttati e speziati, ottima spalla acida e contenuta vena tannica, da provare in un intrigante abbinamento con piatti di media struttura e aromatici.
Una produzione davvero di nicchia è quella dei vini rossi beverini e gradevolmente fruttati ottenuti da Ottavianello nell’Ostuni DOC. Altrettanto poco diffusi sono l’Impigno e il Francavilla, utilizzati con Verdeca e Bianco d’Alessano per la produzione dell’ormai raro Ostuni Bianco DOC. Il Francavilla, coltivato in pochi ettari, deve probabilmente il nome alle sue origini nei pressi di Francavilla Fontana, mentre l’impiego sarebbe stato portato a Ostuni da un agricoltore con questo soprannome.
Vini di maggiore complessità e struttura si ottengono nella IGP Salento in provincia di Brindisi, da Malvasia Bianca, Fiano, Minutolo, Vermentino, Chardonnay e Sauvignon, oltre che alcuni tra i Passiti i migliori della regione da Aleatico, Negramaro, Malvasia Nera e Bianca, Chardonnay, Sauvignon, Sémiollon. Ottimo il Salice Salentino Aleatico dolce DOC, da provare con una crostata di ciliegie, un abbinamento che abbraccia tutta la penisola.
Nel basso Salento, in provincia di Lecce, il Negramaro domina incontrastato e offre vini rossi e rosati molto apprezzati in diverse denominazioni storiche, come per esempio Alezio, Galatina, Copertino e Matino, e nelle IGP Salento e Puglia; Malvasia Nera, Primitivo, Montepulciano, Sangiovese, e Aleatico svolgono un ruolo complementare ma altrettanto importante. I vini bianchi, gradevoli e di bella struttura, sono ottenuti principalmente da Malvasia Bianca, Fiano, Chardonnay e Sauvignon.
Fonte: Ais
